Grazia Lombardi

Nata a Torino nel 1971, vive e lavora nella sua città natale.

Dopo il diploma al “Primo Liceo Artistico” di Torino, ha frequentato il corso di Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Torino con il Prof. Nicola Maria Martino. Successivamente si specializza a Ravenna in tecniche di mosaico antico.

Dal 2014 conduce un seminario workshop annuale di mosaico,  presso il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale. Ha collaborato con la Craviolatti Mosaici di Torino in qualità di mosaicista e con Diego Maria Gugliermetto per i rivestimenti di elementi di interior design.

 

 

Originalità Rituale e Dimensione Partecipativa

Conversazione tra Grazia Lombardi e Ivan Fassio

Grazia, per te la decorazione significa unire arte e vita. Quando hai preso coscienza di questo percorso, di questa vocazione?

Fin da bambina amavo creare il bello. Lo associavo all’idea di “pezzo unico”, poiché attraverso l’unicità, ai miei sensi e nei miei pensieri di allora, ciò che plasmavo o componevo raggiungeva una certa assolutezza, assumeva un’identità inimitabile.

Ero innamorata della carta. Quindi, iniziai con il disegno, con il colore. Prediligevo già la porosità di certe superfici, che permettono ai sensi di perdersi giocosamente, di sconfinare verso nuove dimensioni.

Da sempre l’unione di arte e vita è una pulsione imperativa. Per me, studentessa di materie artistiche, sarebbe stato impensabile dedicarmi alla pittura soltanto durante la mia formazione. Il disegno, l’acquerello, la decorazione sono parte integrante della mia quotidianità.

La quotidianità, la ritualità, l’originalità sono dimensioni ricorrenti da sempre nella tua pratica estetica. Come hai pensato di portare a compimento, di risolvere questa tua istintiva e precoce passione?

Ho preso coscienza di essere un artigiano, perché ho imparato a piegare le mie abilità tecniche alle esigenze dei luoghi e al continuo confronto col committente. Di conseguenza, quasi senza soluzione di continuità, mi sono scoperta artista, poiché ho iniziato spontaneamente a porre il lavoro in relazione sempre attiva con tempo e spazio, legando il mio prodotto alla quotidianità del destinatario. Per me, in quanto operatrice artistica, l’estetica deve entrare nei meccanismi vitali, conquistare l’ordinarietà dell’esistenza di tutti, farsi simbolo dei riti di fondazione, di scoperta, di trasformazione.

Quali sono stati gli esempi fondamentali per la tua formazione? A quali artisti della storia e a quali scrittori ti sei accostata con maggiore interesse?

Di Matisse, naturalmente, mi affascina da sempre l’uso del colore: la libertà superficiale che nasconde disciplina e robusta struttura compositiva. Di Paul Klee, l’approccio poetico col disegno e con la pittura: la lievità aerea sostenuta da un forte sostrato filosofico. Tra i grandi amori letterari, assolutamente “Il Trattato del Ribelle” di Ernst Jünger, per le riflessioni sulle responsabilità dell’uomo libero all’interno delle grandi contraddizioni sociali contemporanee. Tra gli altri saggi, ”Vita delle Forme” di Henri Focillon, per la visione fenomenologica della storia dell’arte, attraverso una ravvicinata e stretta analisi degli stili; “Le Porte Regali” di Pavel Forenskji, per l’intreccio, nell’iconostasi, dei concetti teologici di santità e contemplazione con quelli estetici: sintesi tra arte, religione e simbolismo di taglio mistico.

Dal punto di vista formativo, quali sono state le personalità accademiche e artistiche che hanno maggiormente influito sulle tue scelte formali e stilistiche?

Ho compiuto studi artistici a Torino. All’Accademia Albertina di Belle Arti, dove ho studiato Decorazione, sono due gli incontri seminali per le mie scelte future. Fin da subito e, come spesso accade, quasi per caso, ho trattato le tematiche dello spazio e della luce approdando naturalmente al mosaico. Inizio così a interessarmi di luce in termini metafisici. Ho compreso che il fatto luminoso, la creazione dello spiraglio visuale è un processo alchemico, che passa dallo studio della materia, dei colori, degli elementi, per il filtro dell’ambiente circostante.

ho compreso che il lavoro deve essere assimilato dalla mano: è una questione ritmica, un rituale da portare ad assoluto compimento.

A Ravenna, qualche anno dopo, ho compreso che il lavoro deve essere assimilato dalla mano: è una questione ritmica, un rituale da portare ad assoluto compimento. L’arte musiva è versatile, utile all’astrazione, all’espressività: il mosaico è soggetto a specifiche regole linguistiche, una grammatica operativa. L’artista infrange la regola, ma per farlo deve anzitutto conoscerla. Il messaggio, d’altronde, è sempre nella tessitura, mai nell’immagine. Questa particolare scrittura, destinata a circoscrivere la complessità del discorso universale, agisce nello spettatore secondo gli archetipi dell’allegoria, della metafora, del simbolico.

Il tuo lavoro scaturisce dal tuo stesso rapporto con spazi e persone. Attraverso le tue opere, che tipo di esperienza vuoi personalmente vivere e far vivere?

Vorrei suscitare meraviglia, realizzando l’arte nella vita delle persone. La bellezza può influenzare, cambiare, migliorare l’esistenza e la qualità dei rapporti. Mi occupo da anni di rivestimenti per pavimentazioni, pareti e soffitti. Continuo parallelamente la mia ricerca cromatica ed espressiva su carte e svariati supporti, con lo sguardo sempre rivolto alla sperimentazione e ai progetti site-specific e di portata monumentale. La mia posizione soggettiva nei confronti della pratica creativa mi porta verso un’ideale dimensione di socialità e partecipazione. L’arte deve rappresentare e suscitare bellezza, affinché questa possa essere vissuta e fruita dalle persone.

 Nell’ambito di questa specifica e originale dimensione partecipativa, come ti relazioni alla persone ed ai loro spazi?

Ad ogni intento, deve sempre seguire una concretizzazione destinata a luoghi e persone, una puntuale e specifica realizzazione.

La progettazione con il committente è uno scambio, ed è parte del processo creativo. Lo spazio dell’arte si presenta come materia plastica e mutevole, allo stesso modo dello spazio di vita quotidiano. L’ambiente non sarà mai una forma vuota: ha le sue proporzioni, una propria luce, persino una propria energia. Ciò che potrebbe essere visto e vissuto come una limitazione, ossia lo spazio che impone vincoli, regole da rispettare, delimitazioni di percorsi e confini entro i quali un determinato lavoro sarà realizzato, ecco: tutto ciò rappresenta per me lo strumento linguistico. Come la struttura di linguaggio è base per la poesia.

Assumo, di conseguenza, le limitazioni come impianti necessari su cui costruire. Gli spazi non sono vuoti passivi che possono accogliere ogni significato. Al contrario, devono rappresentare la radice, l’origine stessa dell’opera.

Questo tuo sguardo sempre rivolto allo spazio, alla fruibilità quotidiana e domestica della bellezza, alla poetica della luce è stato sicuramente colpito da alcune esperienze significative per ogni tipologia di lavorazione di cui ti occupi.

Assolutamente sì. Per quanto riguarda la mia esperienza con il mosaico, per la comprensione e consapevolezza della mia inclinazione al linguaggio musivo, sono due le folgorazioni. A ventisei anni, ho visitato per la prima volta il Mausoleo di Galla Placidia, a Ravenna: la luce si riflette su ogni singola tessera, la composizione è sinfonica.

I lavori di Marco De Luca, che ho colto immediatamente nella loro espressività contemporanea, mi hanno fatto riflettere sulle corrispondenze, su una sorta di legge della risonanza.

Per quanto riguarda le mie esperienze con la pittura, ricordo sempre una frase della mia amica Maren Ollmann, artista fotografa, a proposito di un pavimento dipinto: “Ogni volta che lo guardo, mi emoziono”. Ecco, questo è quello che voglio.